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sogni mai detti
31 ottobre 2010, 20:14
Filed under: Senza categoria

Quando ero piccolo non facevo mai il bagno da solo in casa. Avevo paura di poter sparire, o meglio, credevo che in un qualche strano e contorto modo sarei stato spostato d’improvviso in un punto arbitrario del pianeta.
In verità il bagno ha sempre raccolto molte delle mie fobie: serpenti ingoianti dalla tazza del water, shampoo confuso con acido o candeggine, la vasca che , una volta riempita d’acqua, provochi un crollo del solaio, l’esplosione della caldaia, lo schiacciamento delle tempie a seguito di una caduta contro il lavandino, ecc ecc..
Molte di queste paure sono effettivamente legate all’ambiente bagno inteso nella sua totalità ma, tra queste, una categoria è legata al bagno come vasca o riformulando, al bagno nel mentre io sono in vasca.
Come dicevo, sono, iniziate a mò di “paura da sparizione”. Per sentirmi in qualche modo legato alla casa, al posto che occupavo fisicamente in quel momento, dovevo sempre fare il bagno con la certezza di una qualche presenza nelle altre stanze , chiamandolo ogni tanto per poter dire -sono qui ci sono io e loro-. Infondo chi poteva assicurarmi che se chiudevo gli occhi guardando il mobiletto bianco laccato del bagno non li avrei poi riaperti di fronte agli avventori di uno dei bar della piazza del paese?
Le cose poi sono andate a complicarsi. Prima di tutto non avevo più paura di essere solamente io a sparire, ma bensì tutta la stanza; mi immaginavo che questa si sarebbe materializzata in pieno centro, o in un parcheggio adiacente come un cubo inspiegabile; immaginavo che avrei cominciato a sentire bussare alla porta, e per carità, non era tanto l’essere nudo, o bagnato il problema del tutto, ma quanto il dover dare spiegazioni sul come diavolo fossi finito lì; come fosse colpa mia.
Il bisogno di matenere un contatto capirete si faceva sempre più pressante: presenze in casa da far reagire, musica (e questo nn ho mai capito perchè).. arrivai addirittura a legare un gomitolo di lana alle gambe del letto e, facendolo passare sotto la porta, posarlo sopra il lavandino: a quel punto si fosse anche spostato l’intero appartamento non sarei più stato io solo ad aver dovuto spiegarmi….
Poi gli anni sono passati e le paure con loro: dalla mia posizione ho cominciato a temere la posizione degli altri e il ragionamento ammetterete in sè aveva pure un senso
– Ma se chiudendo occhi potrei essere spostato in un luogo qualcunque del pianeta, beh allora chiunque potrebbe essere spostato in questa stanza-
I primi incubi riguardavano il fatto che reclinando la testa per sciacquarmi i capelli dallo shampoo qualcuno da dietro mi afferrasse recidendomi la gola. Da lì a poco iniziò un periodo quasi felice, fatto di sogni vagamente erotici: compagne di classe trasportate nella vasca e orge pre adolescenziali, senonchè la mia ferrea eterosessualità legata all’esaurirsi delle possibilità cominciò a far diventare terrificante anche quei territori….
E così, da allora ad oggi, le cose sono andate avanti e ormai faccio il bagno da solo in casa, per quanto continui ad ascoltare musica, e giusto per chiarire: la storia del gomitolo di lana non la faccio più. Mi sono anche convinto quasi del tutto del fatto che niente di tutto ciò sia in un qualche modo razionale. Infatti ho sostiutito il fantastico con il plausibile: assalitori che sfondano la porta di casa, poi quella del bagno e mi trovano indifeso, dentro la vasca e prendono a picchiarmi selvaggiamente e così via….

Una volta ho fatto un sogno, avrò avuto 11-12 anni, ed è uno dei pochi che ricordi a così lunga distanza: Lo scenario iniziale era una piattaforma petrolifera. Probabilmente facevo parte o ero addirittura il capo, di una qualche squadra di terroristi internazionali più o meno buoni. Mi ricordo che si era nella sala radar a parlare delle solite cose di cui parlano nella sala radar i terroristi internazionali più o meno buoni.
In qualche modo, dopo aver mandato via tutti, mi alzo dal tavolo, pieno di carte geografiche e posacenere e girandomi, dove prima c’era la plancia di comando, trovavo una tenda bianca materealizzatasi a dividere in due la stanza. Una volta scostata, proprio là dietro eccola: la mia vasca da bagno da sola, bianchissima e in mezzo al niente.
Alle mie spalle, da uno spazio che nel frattempo si era allargato a dismisura, compare una donna vestita da soldato: sta mangiando con le mani da una scatoletta di tonno; avanzando lentamente col suo ancheggiare deciso va ad infilarsi nella vasca.
Non so come poi diventa praticamente nuda. I pezzi di tonno cominciano ad uscire dalla vaschetta, quasi animati, a spargersi sul suo corpo assieme all’olio che ormai è dappertutto e trabocca dalla vasca.
Il suo viso sembra quasi terrorrizzato quando cominciano ad invaderle il ventre eppoi tutto il resto. Seguono convulsioni e qualche gemito…
Alla fine la vasca evapora nell’olio o almeno, in un qualche modo, sparisce.
Angosciato, vagando in quello spazio bianco e asettico inciampo in una porta: la apro e mi trovo davanti solo il mare immenso attorno la piattaforma e in lontananza un cordone di navi che ci circonda.
:-Arrivo-: ho il tempo di urlare…
Queste ultime sequenze le ho impresse nella memoria: la schiena di un uomo che nuota contro un mare blu profondo visto dall’alto, un mare infinito pieno di cose sparite; la piattaforma, le navi, e dopo anche il mare e l’uomo stesso, via, spostati chissà dove, presi alla sprovvista all’aprirsi improvviso delle mie ciglia.



diari plausibili
31 ottobre 2010, 18:23
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sai è una città immobile tutto quello che riesco a ricordare; i vetri sporchi quando arriva la piogga e poche pieghe lasciate dal sole.
Poi il resto: i tuoi capelli stinti, aggrappati al tram, giovedì mattina….
I cassetti aperti, la casa deserta….
L’alone arancione dei fari alogeni della stazione a illuminare il parquet…

la signora Bertone passerà domani a ritirare l’affito: io pagherò la tua parte ancora per un po’.



Posizionale
31 ottobre 2010, 18:19
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“nessuno ci ha chiesto dove saremmo andati, perchè qui nessuno immagina chi siamo”
E.Clementi

Spostarsi non è una problematica geometrica, è più una questione semantica fra: io ero io in quel posto e io sarò io in un altro.
Spostarsi alla fine è più una questione sull’assenza infinita di cui parla ogni segno referente, sulle innumerevolil declicanaizioni che uomo+caucasico+trentenne possono assumere in relazione ad un qualche contesto.
Come quel signore che aspetta in macchina fuori dal tabaccaio picchiettando con le dita sul volante; l’immagine esatta di un’assenza. Esatta e al tempo stesso indifferente: poteva essere più vecchio, con o senza barba, con il cappello, dentro un audi o una skoda, l’idea di fondo sarebbe immutabile: uomo che aspetta in macchina.
E così l’essere altrove, inaspettati a tutti, comparsate in pensieri altri: un po’ come un martedì pomeriggio aspettando tua moglie in macchina, un ragazzo seduto su una vecchia panchina del viale.



Come era felice il sole mentre sbadigliava e vedeva che eravamo ancora lì
30 ottobre 2010, 14:11
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And I believe in some kind of path
28 ottobre 2010, 20:17
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Give me back the Berlin Wall, give me Stalin and St. Paul
27 ottobre 2010, 21:21
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There was nothing to fear and nothing to doubt
24 ottobre 2010, 22:47
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T-I-R-E-D spells it, spells it, spells it, spells it
22 ottobre 2010, 23:24
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Anche per la noia, anche per la rabbia
21 ottobre 2010, 20:04
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Mia nonna dice: si/no, si deve/non si deve, si può/non si può dice quello che sa. Lei lo sa e Lei sa che io l’imparerò
20 ottobre 2010, 19:17
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tra mille errori e abominevoli credenze
mi ha fatto vivo, sopravvivere, crescere
il mondo è complesso, incantevole, difficile